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Per Aspera Ad Veritatem n.18
La memoria della Shoah - Intervista di Matteo Bellinelli

David Grossman - Edizioni Casagrande, Bellinzona, 1999





In questo libro-intervista a David Grossman - probabilmente il maggiore scrittore e giornalista israeliano vivente - Matteo Bellinelli, autore di documentari televisivi e intervistatore di molti protagonisti della letteratura mondiale contemporanea, è riuscito a ripercorrere le fasi determinanti della vita e dell'attività letteraria che, nella personalità di Grossman, si fondono in un unico insieme. In queste pagine, su invito dell'intervistatore, Grossman ha cercato di superare ogni forma di pudore, impegnandosi "a non essere freddo e trattenuto, ad andare fino in fondo, ad abbassare la guardia, a dare e dire tutto".
Alla domanda sul perché abbia iniziato a scrivere, Grossman risponde che non sapeva che sarebbe diventato scrittore, però sin da piccolo sapeva che avrebbe scritto un libro sulla Shoah, per riconquistare la vita, per capire cosa fosse quella cosa che i nazisti cercavano di sterminare a tutti i costi. "Vedi alla voce amore", il romanzo che ha dato a Grossman la fama e la notorietà internazionale, è frutto di questa esigenza. Nel celebre caso letterario, egli affronta il tema della Shoah dal punto di vista di un bambino, "perché di fronte a un enigma così grande e irrisolto siamo tutti come bambini fragili, spaventati e impotenti di fronte a una tragedia".
Grossman, ha fatto della memoria dell'Olocausto una delle ragioni della sua esistenza, considerandola un caposaldo della storia del popolo ebraico su cui far riflettere e crescere le generazioni presenti e future. Non solo, sostanzialmente, una memoria della Storia, ma anche e soprattutto un percorso del presente.
Egli traccia una distinzione molto significativa che fornisce dell'Olocausto una rappresentazione quale "ferita ancora aperta che può risucchiare la vita di ogni ebreo". Dicendo "quello che successe allora", i non ebrei danno alla Shoah una collocazione temporale. Gli ebrei, invece, in qualsiasi lingua essi si esprimano, dicono "quello che successe laggiù". Come dire che la dimensione temporale porta a sfumare certamente il ricordo di un evento fino a cancellarlo, mentre un luogo non si cancella, rimane, è lì per sempre, a futura memoria.
Tuttavia, l'emotività che suscita un argomento come quello dell'Olocausto, non impedisce a Grossman di mantenere vivo il senso della ragione. Da vero intellettuale abituato a convivere con la verità anche se scomoda, Grossman non volge lo sguardo solo all'indifferenza del popolo tedesco di fronte allo sterminio, ma affronta con grande coraggio la posizione degli stessi ebrei durante l'Olocausto, cercando di dare una spiegazione a quella che egli stesso non esita a definire "mansuetudine", con cui gli ebrei, secondo Grossman, si fecero trascinare come "pecore ubbidienti e mansuete verso il macello". Senza questo viaggio a ritroso, senza il confronto con la memoria di questa tragedia dell'umanità, Grossman, sono parole sue, "non avrebbe potuto continuare a vivere in Israele come ebreo, come israeliano, come uomo, come padre".
Grossman vive l'impegno di scrittore e giornalista come "sovversione letteraria". "Io penso che scrivere sia un'azione molto sovversiva", ed aggiunge che "se un libro non mi cambia radicalmente, se non scuote la mia vita fino alle radici, per me non è un vero libro".
Nella sua veste di intellettuale progressista e pacifista, Grossman non rinuncia a trovare un punto di incontro, che cerca in una lingua che sia l'espressione della tradizione ma nello stesso tempo di innovazione e viaggio verso la diversità.
Egli fa uso, a suo dire, di una lingua nuova, diversa dall'ebraico che, funge da viatico per nuove dimensioni razziali e rispetto per la diversità del proprio vicino. Lo "yiddish", la lingua della diaspora che fonde in sé tutta la dolorosa esperienza della ghettizzazione, ma anche la ricchezza delle vite vissute in altri luoghi, potrebbe essere, per Grossman, il segnale vivo e tangibile di una nuova realtà di convivenza e solidarietà. L'ebraico, definita una "lingua dura e brusca", obbliga lo scrittore a smussarne le durezze per renderla più vicina alla vita ed ai compromessi.
Ed il compromesso diventa in Grossman la chiave di lettura per il superamento delle frontiere religiose e ideologiche.
Questa lingua del passato che con la sua creatività può diventare strumento per "farci acquisire nuove prospettive, nuovi orizzonti di vita... osservando i nostri vicini in modo diverso, più attenti alle loro sofferenze di vittime".
Sebbene alla luce degli eventi che si sono svolti possa sembrare estremamente idealista formulare un pensiero di speranza, è doveroso credere che il contributo di tanti spiriti progressisti, aperti e desiderosi di giungere ad un compromesso, senza dubbio numerosi sia da parte araba che ebraica, potrebbe costituire la base di una società aperta e disponibile al dialogo in grado di favorire il progresso del processo di pace.



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